"Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi"
Chi non ha mai ascoltato la strofa de "La città vecchia" di Fabrizio De Andrè? Eppure pochi, anche tra le gente del posto, conoscono il centro storico genovese. Chi lo visita per la prima volta ha reazioni spesso contrastanti: bello, sporco, un labirinto, pericoloso, affascinante, ci si perde...quante ne ho sentite dire. A me piace definirlo vero. Non è un luogo tradizionale per turisti. E' vivo, colorato, pieno di odori (buoni e cattivi). Cammini, indeciso se guardare in basso o in alto a scoprire uno spicchio di cielo, in alto tra i tetti dei palazzi che quasi si toccano. I bassi con donne che esercitano il loro antico mestiere e poco lontano il negozietto che vende stoccafisso. Un senegalese col vistoso abito giallo e il funzionario di banca in giacca e cravatta. Bambini che sciamano all' uscita da scuola e cinesi che vendono paccottiglia. Basta girare l' angolo e dopo il muro scrostato di un vicolo malandato ti ritrovi davanti la facciata di un maestoso palazzo nobiliare. La città vecchia è contraddizione. La facoltà di architettura, i locali della movida e le facciate colorate di Campopisano con la piazzetta di ciottoli. Il forno di Ravecca e il buon profumo di focaccia. Le Vigne, col bar che ti serve il caffè con la vecchia crema di zucchero, come si usava nelle case per render più simile all' espresso la moka appena fatta. La drogheria Torrielli con i suoi profumi e le boccette di essenza con le etichette scritte a mano. Le sciamadde, pareti piastrellate di bianco, da cui uscirai odorando di fritto col cartoccio in mano, pieno di panissa, farinata o chissà che altro. Il venditore di tappi, un negozio minuscolo pieno all' inverosimile di tappi di sughero. C'è un solo modo per godersi i caruggi: vagare senza meta, girare, curiosare, farlo in orari diversi. Noi vi diamo una traccia, una traccia visiva. I caruggi visti con l' occhio fotografico di chi li ama. Iniziamo con due amici, Ivano Baldi e Federico Savoldelli, ma ne arriveranno altri.
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13 giugno, un pomeriggio alle Piagge |
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 Due occhi, pur leggermente velati di malinconia, che sorridono. Due occhi vivi, come viva è la festa che ci aspetta. A Don Santoro piace andare in direzione ostinata e contraria, e lo fa anche oggi. Siamo abituati a fare regali ai festeggiati ed invece oggi è il festeggiato che ci regala questa festa, organizzata per ricordare che sono passati 15 anni dal suo arrivo alle Piagge. E in questi anni di strada ne è stata fatta tanta. Le Piagge, periferia ovest di Firenze, non è un quartiere facile, non è la Firenze da cartolina con Palazzo Pitti, il Ponte vecchio o il Bargello. Anche qui ci sono i palazzi, ma sono quelli tipici delle periferie. E c'è il rumore del vicino aeroporto di Peretola. La Comunità Le Piagge ha fatto molto per il quartiere e per la sua gente, ma strada da fare ce n'è ancora molta. Non lasciamoli soli...non lasciamo solo Don Alessandro.
Clicca qui per leggere il racconto della giornata, scritto da Giuseppina Rossi
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Spoon River al teatro dell' Archivolto, Genova |
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dal 23 marzo al 9 aprile: Teatro dell' Archivolto, Genova
L' ingresso al Modena è diverso dal solito: chiusi i portoni, si entra dal retro. Pubblico sul palcoscenico e la platea che diventa palcoscenico.Suggestivo, un bosco di rami, piantati sul parquet. Rami che saranno la costante dello spettacolo, fondali e quinte ma anche oggetti di scena. Dallo scheletro marionetta de Un giudice, ai ciliegi de Un medico e altri ancora. Al buio lo sfrigolio di un fiammifero e una sigaretta che si accende, De Andrè che racconta di fumo, di bere e di caruggi. La coscienza di Zeno? E poi si inizia tra musica, danza e parole. Non al denaro, non all' amore nè al cielo c'è tutto. Ma i testi recitati sono quelli originali di E. L. Masters, tradotti da Fernanda Pivano (con qualche licenza poetica). Così prima ascoltiamo Frank Drummer e subito dopo Un matto cantato da De Andrè, Wendell P. Bloyd e poi Un blasfemo. E via via tutti gli altri: Selah Lively, Sigfried Iseman, Trainor, Francis Turner (bellissima la coreografia de Un malato di cuore). Ma anche Lucinda Matlock, Minerva Jones, Elmer Karr (sì, quello della Collina) e altri personaggi e poesie dell' Antologia di Spoon River non raccontati nel disco o solo citati. E quando arriva Il suonatore Jones, il bosco si trasforma in salone da ballo e i rami in piccole torce, che illuminano i danzatori che si muovono al ritmo di uno struggente valzer lento. "Io non voglio morir cantante. Se al buon sonno del padrone servirà la mia canzone a gola storta voglio cantare ringhio di porco e romanze nere voglio svegliarvi col fiato ansante. Io non voglio morir cantante." Si finisce così,con le parole di Stefano Benni.
Giorgio Gallione regista dello spettacolo, alla sua terza esperienza con De Andrè, anche questa volta fa centro. Dopo la Buona Novella e I bambini sono di sinistra (ispirato a Storia di un impiegato) arriva Spoon River. Molto belle le musiche originali di Mario Arcari e la coreografia di Giovanni Di Cicco. E bravissimi attori e ballerini: applausi a scena aperta per tutti, sulle note di Un ottico. Ci auguriamo che questo spettacolo, prodotto dal Teatro dell' Archivolto di Genova, possa esser visto anche fuori città, in altre regioni. Sarebbe un' occasione persa se non succedesse. |
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