
Spesso varco la soglia pochi minuti prima delle sette, giusto in tempo per raggiungere il nono binario ed aspettare che annuncino il treno per Roma; trovo che guardarlo arrivare, sostare e poi ripartire con un posto vuoto in seconda – il mio – sia un esercizio bizzarro e rassicurante: mi dà la certezza di aver compiuto la scelta giusta, quella di essermi trasferita nel luogo che amo.
Ieri pioveva, e l’odore della ferrovia si mescolava a quello di terra bagnata, in una strana essenza che ricordava l’azzurro: ombrelli, fidanzati e valigie, giornali e cappelli; dietro ogni faccia c’era una storia, come sul retro di ogni biglietto c’era un progetto vidimato al caso. ?
Oggi, invece, sulla mia Genova splendeva il sole: un sole insolente che incupiva il mare in un broncio cobalto.
Ho fatto una lunga passeggiata, e da Brignole sono salita verso Carignano, dove le facciate austere dei palazzi mi hanno lasciata sfilare vestita dei miei pensieri, senza tirarne i fili; avrei voluto sgranchirmi le idee, e invece, arrivata al Porto Antico, mi sono accorta di avere le gambe stanche.
Saranno stati i gradoni che da piazza della Vittoria ascendono alla terrazza del belvedere, oppure l’indeterminatezza di corso Aurelio Saffi: avevo un andare precario intonato al mio tempo, e una strana forma di scelleratezza ad appesantirmi la sottana.