
Ho chiesto a Fabrizio (è sempre Fabrizio Chiapello, il mio produttore artistico) di tener conto del fatto che si trattava sostanzialmente di una preghiera, di quelle che anche orgogliosi senza-dio si trovano in momenti estremi a pensare, di nascosto, camminando da soli nelle strade del centro di un sabato pomeriggio, varcando, sempre di nascosto, il portale della prima chiesa che incontrano, quello che Dio ha loro aperto dopo aver chiuso numerose porte.
E’ una preghiera da recitare in solitudine sulle panche di legno, vicino al confessionale, mentre i santi, le madonne, e i gesù cristi inchiodati sulla croce ti guardano con il loro consueto sguardo di compassione. in una chiesa sgombra di reverendi e di beghine, una chiesa senza messa, di quelle con le candele vere.
Musicalmente immaginavo qualcosa di vicino a un gospel, oppure un vecchio contadino che interroga il Signore suonando il banjo sulle rive del Mississipi. il banjo l’ho suonato sul serio, un vecchio banjo che comprai di seconda mano e che ho scoperto avere un suono rivelatore. Così come l’hammond e il wurlitzer che danzano su ritmiche cajun, bollenti come il gumbo della lousiana, e il theremin, suono mistico e misterioso, mi fa pensare a gente come Tesla, a quegli anni incredibili di scoperte sull’elettricità e il magnetismo, mi fa pensare anche a Rol, in realtà, non so perchè. Abbiamo utilizzato anche il mellotron, uno dei miei strumenti preferiti, mantenendo un assolo di chitarra inventato da Matteo Negrin una mattina di alcuni mesi fa e registrato dopo un gin-campari per colazione.
Stasera, tra l’altro, con Matteo Negrin e Guido Catalano abbiam suonato per gli studenti del D’ Azeglio che s’autogestivano. Sono stati tra i migliori pubblici che abbiamo mai avuto. Ho fiducia nelle nuove generazioni. Autogestione con metodo. Quando okkupavamo Balbi 4 a genova con la pantera – parlo di circa vent’anni fa – la situazione era molto più dura, ci si scazzottava con i fascisti di giurisprudenza e la digos non era particolarmente tenera.
Era una divagazione. Mi piace il rapporto artistico che si sta instaurando tra me e Fabrizio, lui è molto attento a quel che la canzone racconta e, pur trascinandomi su mondi musicali per me più lontani, si muove con agilità, rispetto e delicatezza sulle mie canzoni. E, devo dire, mi piace molto lasciarmi trascinare in quest’esplorazione, come una sorta di novello Chatwin alle prime esperienze con la patagonia.
Comunque “Quando la sera verrà” è venuta fuori come doveva, con la giusta tensione e le giuste dinamiche. Come il testo richiedeva. Abbiamo già cominciato “Ondanomala”, ma adesso è davvero tardi, se ci sarà, ve ne racconterò nella prossima nota.
A bientot