sabato, dicembre 2, 2023
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Federico Sirianni: Santeria

12 novembre 2010 Artisti
Federico Sirianni SanteriaNon so se sarà un diario. Nè se a questa nota ne seguiranno altre. Però stasera m’è venuta voglia di scrivere il diario. Un diario di registrazione, la registrazione del mio nuovo disco. Per il momento lo chiamerò Santeria, non so se sarà il titolo definitivo, ma adesso è Santeria.
Era parecchio che non mi trovavo in uno studio per registrare un disco, l’ultima volta era il 2005, ne son passate di storie. Comunque non mi ricordavo fossero così faticose le giornate in studio. Io sono uno stakanovista di palco, ma in studio è diverso. Si sta ore e ore a fissare un Mac, a installare programmi e plug-in, a costruire la struttura di quella che diventerà una canzone. Si respira nicotina e ci si agita su sedie semovibili in attesa che la creatura prenda vita.
Stasera ne sono uscito felice. Lavoro fianco a fianco con Fabrizio Chiapello, al Transeuropa di Torino. Lui è il deus ex machina di cui avevo bisogno, l’interfaccia in grado di comprendere e ordinare il maelstrom delle mie idee, e di arricchirle con le sue.Quando ci siam parlati la prima volta di questo progetto, temevo di non essere stato molto chiaro, complice la quantità non irrisoria di negroni consumati nell’arco della serata. Gli ho parlato di suoni diversi da quelli che ero solito utilizzare, di santoni voodoo e predicatori che maledicessero l’umanità all’incrocio di una grande metropoli all’ora di punta, di nani pressurizzati in pompe di benzina, di mariachi presi e deportati in un discobar di periferia, di Morricone, Sakamoto e Bjork che si incontrano in un diner di Santa Fè e si sbronzano di tequila.
Non volevo che il mio terzo disco fosse in linea con gli altri due, a loro modo e in maniera diversa si trattava di dischi folk o folkrock.
Onde clandestine” legato ad atmosfere di provenienza balcanica, “Dal basso dei cieli” più blues e tex mex. E poi me l’ero sempre cavata da solo, gli arrangiamenti erano direttamente consequenziali alle performances dal vivo, erano entrambi, anche se realizzati in studio, dei dischi “live”. almeno quella era l’intenzione.
Rer “Santeria” volevo qualcosa di diverso. Fabrizio ascoltava, mi sembrava perplesso, ma da alcune frasi che mi diceva sentivo che potevo fidarmi, o comunque che valesse la pena provarci.
Ieri ho portato mia figlia dalla pediatra, la solita tosse, nulla ai bronchi, a scuola tengono il riscaldamento a manetta, la polvere fa il resto. il ministero della pubblica istruzione deve avere delle gàbole con l’eni.
In ogni caso. il primo pezzo che abbiamo affrontato è “La neve nel bicchiere”, una canzone relativamente recente. Quando dico “relativamente recente” significa che appartiene agli ultimi dodici mesi, non sono estremamente prolifico sebbene abbia ricevuto un’educazione cattolica. E’ una canzone importante per me perchè è stata scritta in seguito a un periodo difficile, carico di cambiamenti. E’ stata scritta in uno di quei momenti in cui ti accorgi finalmente delle macerie che hai intorno e hai la calma per metterle in ordine e vedere se c’è la possibilità di ricostruire qualcosa. Musicalmente mi è stata ispirata da certi tradizionali giapponesi che i miei amici Gattico & Suzuki mi hanno fatto ascoltare nel corso dei concerti che abbiamo fatto insieme.
Ieri ho capito che i miei crediti ammontano più o meno alla stessa quantità dei miei debiti. l’ho trovato confortante e ho brindato con un bicchiere di cherry.
Fabrizio è qualcosa tipo il mio produttore artistico. E’ intuitivo, meticoloso, capace.
E’ capace di stare ore su quattro battute perchè la ritmica non gira perfettamente o perchè il delay del piano non è esattamente come lo pensavamo. Non sono mai stato particolarmente attento alla cura dei dettagli, ma la cura dei dettagli m’ha sempre affascinato, negli altri. “La neve del bicchiere”, anche se realizzata al momento con strumenti digitali ha una sua fisionomia molto precisa, è lei.
La cassa elettronica in sedicesimi, le walking drums, il generoso utilizzo degli archi, il pianoforte giapponese, la batteria distorta e filtrata ti prendono per mano e ti portano nei luoghi veri e immaginari della canzone. non vedo l’ora di ascoltarla suonata con gli strumenti veri.
Il tintinnio del ghiaccio nei bicchieri con i negroni ha sancito la riuscita di questa giornata, la riuscita di questa canzone.
Non so se il diario continuerà, non so nemmeno su quale pezzo lavoreremo domani, vorrei che questo disco fosse straniante e spiazzante, che fosse una sorpresa continua, orchestrale, elettronico, kitch, ridondante, essenziale, luminoso, astratto, religioso, incoerente, romantico e tante altre cose ancora.
Lo so, ripongo molte aspettative, ma se non fossi convinto di realizzare la mia opera migliore, avrei probabilmente aperto un chiosco di burritos e mezcal a Guadalajara e mi godrei la vita.

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