mercoledì, giugno 7, 2023
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Gianfranco Reverberi

17 ottobre 2010 Quattro amici e un bar

GIANFRANCO REVERBERI, IL FRATELLO GRANDE

Stride incontrarlo nella hall di un albergo, lussuoso finché si vuole, del centro di Genova. Stride perché Gianfranco Reverberi, del genovese, ha tutto: quell’accento burbero che un zeneize vero non perde neppure se lo trascini mille anni a Timbuctù; quella cordialità “un po’ così”, schietta, autentica, senza fronzoli, con il sorriso accennato e quasi pudicamente sepolto sotto un paio di baffoni; quell’umanità che è inutile spiegare, ché fra genovesi ci si intende e un foresto tanto non capirebbe…
Fosse davvero esistita, la “scuola genovese”, Gianfranco ne sarebbe stato il maestro. Certo non lo si può considerare un genitore che un giorno accompagnò i suoi pupilli dal preside, cioè dal produttore Nanni Ricordi, per divulgare il loro talento: non si può perché Gianfranco era suppergiù un loro coetaneo.
Un amico? Ecco: un amico va bene. Con la musica nel sangue, proprio come il fratello: «Eravamo a tavola, e Giampiero portava ancora i pantaloni corti, come si usava allora. Sentenziò che avrebbe fatto il conservatorio. Faccenda chiusa. Neppure mio padre osò replicare davanti a tanta fermezza. Per quanto mi riguarda, la cosa fu appena più complicata. Finito il militare, mio padre mi richiamò al dovere. Mi voleva con sé, ma gli spiegai con tranquillità le mie scelte: “Preferisco finire sotto un ponte con la musica che diventare ricco con l’edilizia.” Una decisione che lui, con tanto buon senso, rispettò in pieno: “Per carità Gianfranco, la vita è la tua.”»
Così Gianfranco Reverberi tornò a Milano, dove aveva conosciuto durante la naja Nanni Ricordi. Per fare il direttore artistico della casa discografica. Solo che lui a Milano, da buon genovese, si annoiava a morte: «Tanto che come cominciai ad avere un po’ di quattrini in tasca mi comprai macchine sempre più veloci, in modo da accelerare il ritorno a casa del venerdì.».
Rimaneva in ogni caso da risolvere il problema della saudade infrasettimanale.
Così Gianfranco, che ha casa, chiama “su” i suoi amici di sempre, a cominciare da Luigi Tenco e da Piero Litaliano, ovvero il poeta Piero Ciampi. Nanni Ricordi è un discografico in cerca di innovazione e Gianfranco gli propone i suoi amici, dapprima come interpreti di alcune sue composizioni, quindi autonomamente. Escono così i primi dischi di Luigi, Gino, Fabrizio, Bruno. Nomi e brani destinati a entrare nella cultura musicale e a rimanerci. E Bindi? «No, Bindi no. Contrariamente a quanto si afferma, lui seguì un percorso suo, tanto che i suoi primi successi sono precedenti al mio impiego a Milano. Vero è, però, che anche lui entrò presto a far parte del “mio” gruppo con Ricordi.»
Ma allora è vero quanto si dice in giro: non ci fosse stato Gianfranco Reverberi la “scuola genovese” non sarebbe mai nata? Nella risposta c’è ancora tutta la schietta genovesità di Gianfranco, che non si schermisce ma, per contro, mette bene in chiaro le cose: «Tecnicamente la cosa è innegabile: un artista può essere bravo finché si vuole, ma se non trova il modo di rivolgersi al pubblico il suo talento rimane inespresso. E in questo senso la mia presenza alla Ricordi fu decisiva. Tanto più che nessuno di “loro” aveva mai pensato di fare da grande il cantautore: vivevano la musica come un gioco, una passione, non come una possibile professione. Aspetto che peraltro ha rappresentato un altro dei loro grandi punti di forza: facevano le cose non per un pubblico, o peggio, per il successo, ma per piacere personale. Poi se le cose “andavano”, bene, altrimenti pazienza. I primi dischi di alcuni non vendevano un bel niente. Ma non era questo il punto.»
Comunque: erano bravi. «Ah, questo sì. Luigi poi era addirittura fenomenale, un vero talento innato. Gli bastavano pochi minuti per imparare a suonare per davvero uno strumento. E anche le sue composizioni erano, sotto il profilo squisitamente musicale, di ottima qualità.»
Il dilemma di fondo, tuttavia, rimane irrisolto e si condensa in una domanda: se Gianfranco Reverberi avesse abitato, che so?, a Napoli, si parlerebbe oggi di una “scuola napoletana della canzone d’autore”?
«No. Non è un caso che i cantautori siano nati a Genova. Il perché me lo spiegò un giorno Natalino Otto: Genova è stata la città italiana in cui più che altrove – per via delle “importazioni” di contrabbando o, se preferisci, di straforo – venivano diffusi, già durante la guerra, dischi americani. Sono nati così fenomeni come lo stesso Otto, Pippo Barzizza, lo swing. Certo quei dischi andavano ascoltati in abitazioni “ovattate”, al riparo delle orecchie dei fascisti spioni.»
E ciò spiega il filone americano, il jazz, la nascita, nel dopoguerra, delle varie band in cui si cimentavano i vari Tenco, Lauzi, De André, Paoli…
«A questo si aggiunse lo “sbarco” dei francesi: Brassens, Brel, che influenzarono in particolare Fabrizio e Gino…»
Genova non era però il solo porto di mare, in Italia…
«Vero. Però era una città musicalmente vergine. Priva cioè di quella tradizione che caratterizzava ad esempio Napoli. Così certe novità attecchirono più facilmente.»
Mettiamola allora in altro modo: se Gianfranco Reverberi fosse vissuto non alla Foce ma a Sestri Ponente, oggi avremmo altri cantautori?
«Ma no… Non voglio fare un discorso mistico, né tirare in ballo il destino, ma credo che le cose “debbano” accadere. Prendi ad esempio Gino: lui non era della Foce, era di Pegli, ma il caso volle che divenne compagno di scuola di Luigi al “Galilei”, oggi mi pare sia il “Leopardi”, sotto il ponte monumentale. Diventarono amici, e Luigi un giorno lo introdusse nella nostra band senza nome, composta dallo stesso Luigi, da Bruno Lauzi, Bruno Martinoli, un futuro ingegnere elettronico, e il sottoscritto al vibrafono. “È simpatico.” sentenziò. Poi, di fronte alla nostra genovesissima diffidenza, ci spiegava come Gino evitasse di essere interrogato: giustificava i suoi balbettii con una dichiarazione d’amore alla prof di turno. Quella lo cacciava, ma lui evitava il votaccio.
Ci accorgemmo poi che Gino aveva una voce particolare. E così Paoli, che da grande voleva fare il pittore, un giorno compose La gatta. Un caso? E il cinema Aurora, il solo a Genova che proiettasse esclusivamente musical, proprio sotto le nostre case? Un altro caso? E il bar lì di fronte, con il poeta anarchico Mannerini a influenzare culturalmente e poeticamente – forse più di qualsiasi lettura – Luigi e Fabrizio? Un caso anche questo?»
Riflessioni interrotte con un po’ di sussiego dal portiere dell’hotel: è arrivata la persona che accompagnerà Gianfranco a teatro. Il teatro è il Carlo Felice; là c’è Gino ad aspettarlo, per una serata che ne riconosce la carriera. A questo evento si deve la presenza di Reverberi a Genova, e l’occasione di intervistarlo di persona. Un caso?

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